Virgilio - Eneide

introduzione


Già Girolamo e Agostino tennero in grande considerazione l'opera di Virgilio (70-19 a C.).

L'interpretazione cristiana della IV Egloga, riletta come un simbolico annuncio dell'avvento del Redentore, creò un filone della cultura medioevale che trasformò Virgilio in un sapiente, un mago, un profeta. La sua opera potè così essere interpretata in senso allegorico.

L'Eneide, poema epico in 12 canti, racconta la leggenda di Enea dall'ultimo giorno di Troia sino alla vittoria e alla fusione di Troiani e Latini in un unico popolo.

Dante legge i personaggi virgiliani come simboli di vizi e di virtù, come esempi di comportamento di fronte alle prove a cui la divinità li sottopone.

Soprattutto il libro VI, quello del viaggio di Enea nel regno di Plutone, gli fornisce immagini e situazioni da trasportare quasi identiche nell'oltretomba cristiano.

citazione

Purg.21, 133 - 136, Eneide vv. 638 e segg.


Nel canto sesto dell'Eneide, ai versi 638 e segg. le sedi dei beati appaiono “locos laetos et amoena virecta”, ricchi di aria, di luce, di erba sembrano il modello del Paradiso terrestre descritto nel Canto 28 del Purgatorio. Qui i buoni e gli eroi danzano, recitano versi, il bosco profuma d'alloro e il fiume Po si snoda attraverso la selva. Qui Enea ritrova Anchise, suo padre, e invano per tre volte cerca di abbracciarlo (vv. 700 - 703):


“ter conatus ibi collo dare bracchia circum;
ter frustra comprensa manus effugit imago
par levibus ventis volucrique simillima somno”


Proprio come succede a Dante che vuol mostrare a Casella tutto il suo affetto (Purg. 2, 79 - 81) e successivamente a Stazio che vuole abbracciare Virgilio (Purg, 21, 133 - 136): “trattando l'ombre come cosa salda”.

Torna alle fonti

↑ Torna su ↑