Ovidio - Metamorfosi

introduzione


I 15 libri, composti dal 2 all'8 d.C.,costituiscono un grande poema epico in esametri che raggruppa una serie di storie indipendenti, accomunate da uno stesso tema: la trasformazione, la dotta ricerca della cause, l'amore nell'universo del mito.

L'opera già ben nota in età carolingia godrà di grande fortuna nei secoli XII e XIII, definiti per questo aetas ovidiana.

Tra le circa 250 vicende narrate nel corso del poema, alcune sono esplicitamente ricordate nel Purgatorio dantesco come exempla morali o con intento descrittivo.

citazione

Purg.20, 106 - 108, Metam. libro XI vv. 102 - 112 e 119 - 135: Mida


Ille male usurus donis, ait: "Effice, quiquid
corpore contigero, fulvum vertatur in aurum".
Adnuit optatis nocituraque munera solvit
Liber, et indoluit, quod non meliora petisset.
Laetus abit gaudetque malo Berecyntius heros,
pollicitique fidem tangendo singula temptat.
Vixque sibi credens non alta fronde virentem
ilice detraxit virgam: virga aurea facta est;
tollit humo saxum: saxum quoque palluit auro;
contigit et glaebam: contactu glaeba potenti
massa fit;
.......

Il dio Bacco, per ringraziare il re Mida di avergli recato l'amico Sileno, gli promise di esaudire un suo desiderio.

Mida malamente si avvalse della facoltà e disse: "Fai che tutto quello che tocco col corpo si trasformi in fulvo oro." Bacco esaudì il desiderio che presto si sarebbe rivelato dannoso; in cuor suo si rammaricò che non avesse scelto qualcosa di meglio.

Il re berecinzio se ne andò via tutto felice -ignaro del male- e cominciò a toccare questo e quello per vedere se Bacco  fosse stato di parola. E a stento credendo ai propri occhi, tirò verso di sé una frasca verdeggiante che pendeva da un leccio assai basso e la frasca diventò d'oro. Raccolse da terra un sasso e anche il sasso impallidì in oro. Tocca ancora una zolla: a quel magico tocco la zolla diventa una grande pepita.



... Gaudenti mensas posuere ministri
exstructas dapibus, nec tostae frugis egentes:
tum vero, sive ille sua Cerealia dextra
munera contigerat, Cerealia dona rigebant;
sive dapes avido convellere dente parabat,
lammina fulva dapes, admoto dente, premebat;
miscuerat puris auctorem muneris undis:
fusile per rictus aurum fluitare videres.
Attonitus novitate mali, divesque miserque,
effugere optat opes et, quae modo voverat, odit.
Cpia nulla famem relevat, sitis arida guttur
urit, et inviso meritus torquetur ab auro.
Ad caelumque manus et splendida bracchia tollens,
Da veniam, Lenaee pater! Peccavimus" , inquit
"sed miserere, precor, speciosoque eripe damno!"
Mite deum numen: Bacchus peccasse fatentem
restituit, pactique fide data munera solvit.

Mentre così tripudia, i servitori apparecchiano la tavola e imbandiscono pile di vivande, non senza pane tostato. Ma ora, come tocca i doni di Cerere, i doni di Cerere si induriscono; se con avido dente cerca di lacerare una pietanza, una lamina fulva appena accosta il dente, ricopre la pietanza; mischia ad acqua pura il vino di Bacco, suo benefattore: gli vedi galleggiare in bocca liquido oro. Sbigottito per quella singolare sciagura, miserabile in mezzo alla ricchezza, non ne può più di tutti quei tesori e detesta ciò che poco prima aveva sognato. La più grande abbondanza non può sedargli la fame, arida sete gli brucia e, come si merita, è ossessionato e torturato dall'oro. E allora, levando al cielo le mani, e le braccia tutte splendenti, esclama: "Perdonami, padre Bacco! Ho peccato, ma abbi pietà, ti scongiuro e liberami da questa rovinosa fortuna!"

Gli dei sanno essere miti. Poiché riconosce di avere peccato, Bacco lo rende com'era prima, ritirando il dono concesso soltanto per mantenere la promessa.


Bacco indicò quindi al re Mida pentito come mondarsi per sempre dell'oro che gli si era invischiato addosso: dovrà recarsi al fiume presso la grande città di Sardi, risalirlo in direzione contraria alla corrente, su fra i monti, fino alla sorgente. Lì dovrà porre il suo capo sotto il getto più copioso di acqua e lavarsi con cura.

Il re obbedì coscienziosamente e l'oro che aveva sul corpo passò alle acque del fiume, come il potere stesso di trasformare le cose in oro.

Da allora le acque di quel fiume  continuarono ad impregnare di pagliuzze d'oro le zolle che bagnavano.

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