Ovidio - Metamorfosi

introduzione


I 15 libri, composti dal 2 all'8 d.C.,costituiscono un grande poema epico in esametri che raggruppa una serie di storie indipendenti, accomunate da uno stesso tema: la trasformazione, la dotta ricerca della cause, l'amore nell'universo del mito.

L'opera già ben nota in età carolingia godrà di grande fortuna nei secoli XII e XIII, definiti per questo aetas ovidiana.

 Tra le circa 250 vicende narrate nel corso del poema, alcune sono esplicitamente ricordate nel Purgatorio dantesco come exempla morali o con intento descrittivo.

Le Muse, figlie di Zeus e Mnemosine, sono una mitica raffigurazione della bellezza, dell'arte che è dono divino. Dee del canto, della poesia, delle arti e delle scienze esse furono venerate in Beozia sull'Elicona, a Delfo, o sul Parnaso guidate da Apollo Musagete.

La tradizione ne indica 9: Clio (storia), Euterpe (musica), Talia (commedia), Melpomene (tragedia), Tersicore (danza), Erato (poesia erotica),Polimnia (poesia religiosa), Urania (astronomia), Calliope la Musa dalla bella voce è ispiratrice della poesia epica e dell'eloquenza.

Presso i Romani furono venerate allo stesso scopo le Camene.
Secondo il mito, ricordato da Dante all'inizio della seconda cantica, le figlie del re Pierio che avevano osato sfidare le Muse furono trasformate in gazze.
Ovidio (Met. V, 294-678) riferisce gli argomenti della gara: una Pieride celebrò il gigante Tifone, che provocava terremoti e eruzioni nel sottosuolo della Trinacria. Calliope invece raccontò il ratto di Persefone e il ritorno dell'armonia sulla terra. Le ninfe le diedero la vittoria.

citazione

(vv 662-678)


"Finierat doctos e nobis maxima cantus;
at nymphae vicisse deas Helicona colentes
concordi dixere sono. Convicia victae
cum iacerent, "Quoniam-dixit- certamine vobis
supplicium meruisse parum est, maledictaque culpae
additis, et non est patientia libera nobis,
ibimus in poenas et, qua vocat ira , sequemur."
Rident Emathides spernuntque minacia verba;
conataeque loqui et magno clamore protervas
intentare manus, pennas exire per ungues
adspexere suos, operiri bracchia plumis,
alteraque alterius rigido concrescere rostro
ora videt volucresque  novas accedere silvis.
Dumque volunt plangi, per bracchia mota levatae
aëre pendebant, nemorum convicia, picae.

"La più illustre fra noi aveva finito il suo dotto canto. E le ninfe dichiararono in coro che avevamo vinto noi, dee che abitiamo sull'Elicona.  Poiché le perdenti lanciavano insulti, disse Callìope." Già meritavate una punizione per averci sfidato. Dato che non vi basta e alla colpa aggiungete le invettive, e la nostra pazienza ha pure un limite,  provvederemo a punirvi e andremo fin dove ci spinge l'ira".  Ridono le giovani dell'Emazia, con fare sprezzante, di quelle minacciose parole. Ma mentre tentano di parlare e di alzare sfrontatamente con grandi strida le mani contro di noi, si accorgono che delle penne spuntano loro da sotto le unghie, che le braccia si coprono di piume, e ciascuna vede le altre sporgere il viso in un duro becco e andarsene, uccelli nuovi, verso la selva. E mentre vogliono battersi il petto, col moto delle braccia si sollevano e si librano in aria, insolenti abitanti dei boschi: gazze.


Torna alle fonti

↑ Torna su ↑