Virgilio - Eneide

introduzione


Già Girolamo e Agostino tennero in grande considerazione l'opera di Virgilio (70-19 a C.).

L'interpretazione cristiana della IV Egloga, riletta come un simbolico annuncio dell'avvento del Redentore, creò un filone della cultura medioevale che trasformò Virgilio in un sapiente, un mago, un profeta. La sua opera potè così essere interpretata in senso allegorico.

L'Eneide, poema epico in 12 canti, racconta la leggenda di Enea dall'ultimo giorno di Troia sino alla vittoria e alla fusione di Troiani e Latini in un unico popolo.

Dante legge i personaggi virgiliani come simboli di vizi e di virtù, come esempi di comportamento di fronte alle prove a cui la divinità li sottopone.

Soprattutto il libro VI, quello del viaggio di Enea nel regno di Plutone, gli fornisce immagini e situazioni da trasportare quasi identiche nell'oltretomba cristiano.

citazione

Purg.6, 27 - 30


Il passo esprime il dubbio di Dante sull'efficacia dei suffragi, dubbio confermato da un verso virgiliano. Il contesto è il seguente: sulla riva dell'Acheronte l'eroe troiano incontra il nocchiero Palinuro che gli chiede di essere portato al di là del fiume per aver quiete tra coloro che hanno avuto la giusta sepoltura. La pena degli insepolti è infatti un'attesa di 100 anni, prima di riposare in pace. Ma la Sibilla respinge la richiesta perché non si possono piegare pregando i decreti immutabili degli dei. (v.376: “desine fata deum flecti sperare precando”)

Torna alle fonti

↑ Torna su ↑