Dino Compagni - Cronica

introduzione


Dino Compagni (1260-1324), fu storico, contemporaneo di Dante e come lui guelfo di parte bianca, priore e gonfaloniere di giustizia. Con il trionfo dei Neri scomparve dalla vita pubblica e continuò ad esercitare l'attività mercantile. Tra il 1310 e il 1312 scrisse la Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi.

citazione

Purg.5, 91 - 102


Buonconte da Montefeltro, capo ghibellino, dice di aver trovato la morte durante la battaglia di Campaldino nel 1289.

Dalle Croniche di Dino Compagni si legge il racconto vivace e concitato della battaglia tra i guelfi fiorentini e i ghibellini di Arezzo, conclusasi con la vittoria dei primi.(Lib.I,10) La lotta contro Arezzo fa parte della politica per il predominio in Toscana condotta dal comune di Firenze nella seconda metà del '200. Il risultato fu la conquista delle principali vie di comunicazione: nel 1269 vinse Siena a Colle Val d'Elsa; nel 1289 gli Aretini, poi Prato e Pistoia per il Passo della Porretta, infine Pisa nel 1293 per l'accesso al mare. Il governo era in mano ai Priori delle Arti, rappresentanti del popolo grasso (borghesia mercantile), capeggiati da un Gonfaloniere di Giustizia.


Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi (1,10)

Battaglia di Campaldino; della quale però i Fiorentini vincitori non sanno raccogliere tutti i frutti.


Mossono le insegne al giorno ordinato i Fiorentini, per andare in terra di nimici: e passarono per Casentino per male vie; ove, se avessono trovati i nimici, arebbono ricevuto assai danno: ma non volle Dio. E giunsono presso a Bibbiena, a uno luogo si chiama Campaldino, dove erano i nimici: e quivi si fermorono, e feciono una schiera. I capitani della guerra misono i feditori alla fronte della schiera; e i palvesi, col campo bianco e giglio vermiglio, furono attelati dinanzi. Allora il Vescovo, che avea corta vista, domandò: "Quelle, che mura sono?". Fugli risposto: "I palvesi de’ nimici".

Messer Barone de’ Mangiadori da San Miniato, franco et esperto cavaliere in fatti d’arme, raunati gli uomini d’arme, disse loro: "Signori, le guerre di Toscana si soglìano vincere per bene assalire; e non duravano, e pochi uomini vi moriano, ché non era in uso l’ucciderli. Ora è mutato modo, e vinconsi per stare bene fermi. Il perché io vi consiglio, che voi stiate forti, e lasciateli assalire". E così disposono di fare. Gli Aretini assalirono il campo sì vigorosamente e con tanta forza, che la schiera de’ Fiorentini forte rinculò. La battaglia fu molto aspra e dura: cavalieri novelli vi s’erano fatti dall’una parte e dall’altra. Messer Corso Donati con la brigata de’ Pistolesi fedì i nimici per costa. Le quadrella pioveano: gli Aretini n’aveano poche, et erano fediti per costa, onde erano scoperti: l’aria era coperta di nuvoli, la polvere era grandissima. I pedoni degli Aretini si metteano carpone sotto i ventri de’ cavalli con le coltella in mano, e sbudellavalli: e de’ loro feditori trascorsono tanto, che nel mezo della schiera furono morti molti di ciascuna parte. Molti quel dì, che erano stimati di grande prodeza, furono vili; e molti, di cui non si parlava, furono stimati. Assai pregio v’ebbe il balio del capitano, e fuvi morto. Fu fedito messer Bindo del Baschiera Tosinghi; e così tornò a Firenze, ma fra pochi dì morì. Della parte de’ nimici fu morto il Vescovo, e messer Guiglielmo de’ Pazi franco cavaliere, Bonconte e Loccio da Montefeltri, e altri valenti uomini. Il conte Guido non aspettò il fine, ma sanza dare colpo di spada si partì. Molto bene provò messer Vieri de’ Cerchi et uno suo figliuolo cavaliere alla costa di sé. Furono rotti gli Aretini, non per viltà né per poca prodeza, ma per lo soperchio de’ nimici. Furono messi in caccia, uccidendoli: i soldati fiorentini, che erano usi alle sconfitte, gli amazavano; i villani non aveano piatà. Messer Talano Adimari e’ suoi si tornorono presto a loro stanza: molti popolani di Firenze, che aveano cavallate, stettono fermi: molti niente seppono, se non quando i nimici furon rotti. Non corsono ad Arezo con la vittoria; ché si sperava, con poca fatica l’arebon avuta.

Al capitano e a’ giovani cavalieri, che aveano bisogno di riposo, parve avere assai fatto di vincere, sanza perseguitarli. Più insegne ebbono di loro nimici, e molti prigioni, e molti n’uccisono; che ne fu danno per tutta la Toscana.

Fu la detta rotta dì XI di giugno, il dì di San Bernaba, in uno luogo che si chiama Campaldino, presso a Poppi.

Dopo detta vittoria non ritornorono però tutti i Guelfi in Arezo: ma alcuni s’assicurorono; a’ quali fu detto che, se vi voleano stare, facessono la loro volontà. Tra i Fiorentini e gli Aretini pace non si fe’: ma i Fiorentini si tennono le castella aveano prese; cioé Castiglione, Laterina, Civitella, Rondine, e più altre castella; e alcuno se ne disfece. Dopo poco tempo i Fiorentini rimandorono gente d’arme a Arezo, e posonvi campo; e andoronvi due de’ Priori. E il dì di San Giovanni vi feciono correre un palio; e conbatterono la terra, e arsono ciò che trovorono in quel contado. Dipoi andorono a Bibbiena, e quella presono e disfeciono le mura. Molto furono biasimati quelli due di tale andata, cioè de’ Priori, perché non era loro uficio, ma di gentili uomini usi alla guerra. Di poi se ne tornorono con poco frutto; perché assai vi si consumò, con affanni di persone.

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